domenica 20 luglio 2014

Desde Bolivia - Fotograf...Ande

Gallery foto

In cammino fotografando.....

                                            Le Ande fotografate dal Pueblo di Kami


            Pueblo di kami

                     
                                      .. ..scende la notte
             

..... scende la neve!!!


... panorama dalla mia camera








La chiesa.... notare il cammino
















                                                                   
                                            Il  bucato steso al sole




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sabato 12 luglio 2014

Desde Bolivia - In alto mare....


Certo che trovarsi in alto mare a 4000 metri e' sorprendente....,. in questi giorni vi sto pensando tanto, non ho molte parole, questo posto me le ha portate via.,,, vi penso e vorrei  portarvi qui. Tanta poverta',
sporcizia, abbandono, un disordine quasi organizzato, case in calamina calde d'estate e gelate d' inverno, fogne a cielo aperto, vento forte che mischia odori, colori, ti senti tutto "addosso".. solo il cielo blu da' respiro, e l'aria gelida ti entra dentro e ti fa sentire viva... . Spazi infiniti, rocce ocra, marroni, gialle, luce intensa che crea ombre e contrasti da sembrare tutto piu' duro, difficile. Da che parte incominciare? Non so,... scoprire ogni cosa e valorizzarla,.. per ora vi  tengo qui con me tra i bimbi di Kami.





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Desde Bolivia - Mina Sezione Patiño y Bolivar



Ospitiamo in missione per alcuni giorni, quattro ragazzi universitari di Cochabamba che devono redigere una tesi relativa alla Spiritualita' Minera; insieme visitiamo la mina Simon Patiño y la mina Bolivar.
(Vedi in internet Simon Patiño - Bolivia, negli anni 1940-1945 era tra gli uomini piu' ricchi della terra).
L'ideale sarebbe parlare con un minatore anziano disposto a rispondere alle nostre domande.
Arriviamo alle 9 a Patiño e il primo turno di lavoratori gia' sta lavorando nel cuore del cerro (montagna) e terminera' alle ore 14.
Accampamento minatori - Patiño


All'esterno della mina alcuni giovani stanno spostando sacchi e sistemando vari utensili.
Sono studenti che approfittano delle vacanze invernali per lavorare alla mina e guadagnare un po' di denaro.
Altri uomini, con tute color ocra e marrone che si mimetizzano bene con i carrelli e attrezzi arrugginiti stanno seduti, fumano e masticano foglie di coca. infreddoliti, riservati, fanno gruppo a se'. I miei amici si presentano e spiegano l'obiettivo della loro visita;.... i minatori non rilasciano dichiarazioni, ci dicono di aspettare i colleghi al termine del turno pomeridiano.


Ci invitano ad indossare il casco e ad entrare nella mina fino alla statua del Tio.
Dobbiamo seguire i binari, sempre recto fino a raggiungere un piccolo psazio dove e' posto el dueño de la mina (il capo della miniera).
I primi cento metri il cammino e' difficile, c'e' tanta acqua, non abbiamo gli stivali, solo caschetto e torcia, cosi' appoggiamo i piedi sulle rotaie che servono da guida per i carrellli e con passo di "papere" avanziamo lentamente. Come ben sapete i boliviani sono di statura media e procedono senza problemi, io invece devo badare non solo a dove metto i piedi, ma anche alla mia testa, tante le sporgenze di roccia dal soffitto. A volte urto ma grazie al casco ho solo un rimbombo in testa, nulla piu'.
Finalmente non c'e' piu' acqua, solo melma e il procedere diventa meno faticoso.
Sono l'ultima della fila, mi giro, e .... buio totale, non si vede piu' la luce dell'uscita.
Procediamo, ai lati della parete si aprono cunicoli dove i minatori si calano a lavorare, una scala aiuta la discesa.
Buio, freddo, umidita', le pareti gocciolano, la luce della torcia, il respiro affannato, le nuvolette di vapore del nostro fiato. Finalmente ecco la statua del Tio.


 Ai suoi piedi coriandoli, stelle filanti, foglie di coca, lattine di birra, bottiglie di alcool puro, tutti omaggi al Dio della mina. La statua e' di terra, avvolto da stelle filanti ha l'aspetto simpatico, si intravede solo il viso con due occhietti di pietra: uno azzurro e uno verde.
Qualche foto e poi torniamo verso l'uscita.




Ci accoglie il sole forte, qualche istante per abituare l'occhio nel passaggio dal buio alla luce. Qualche attimo per mettere a fuoco e mi sorprendo nel vedere che la mina esterna e' in piena attivita', tante donne e bambini, un formicaio, ciascuno intento a compiere un preciso lavoro.

                                                                    Donne e figlie
selezionano le pietre: pura pietra da un lato e pietre piu' pesanti con presenza di minerali dall'altra, poi queste ultime saranno frantumate da una mezzaluna gigante, lavate setacciate,... il tutto rigorosamente a mano.






Mi ritornano alla mente le letture dei racconti di jack London. Siamo in un contesto storico-geografico diverso, ma le modalita' del lavoro mi sembrano le stesse. In Alasca e Canada alla ricerca dell'oro, qui del Wolfram (tungsteno).






Raccolgo alcune pietre azzurre, Nelson dice che non valgono nulla
 e mi regala due pietre piu' pesanti, contengono minerale, se le lavi vedrai luccicare il Wolfram.
Le lavo e mi basta poco per congelare le mani, non so proprio come facciano le donne e i bambini per ore ed ore a tenere le mani in acqua. E' il guadagno che attira: 1 kg di minerale vale circa 130 boliviani (13 euro).
Tanti i giovani che entrano alla mina e che difficilmente riescono a liberarsi dalla stessa, nasce un legame di forza, sfida con la montagna che finesce per assorbirli totalmente, allo sfinimento: condizioni estreme, lontano dalla famiglia, alcool, coca, ...abbagliati dal guadagno: primo obiettivo guadagnare per comperare la moto.

E' primo pomeriggio, il sole dei 4000 metri e' alto e scottta, escono i minatori in fila, indossano tute color ocra, bagnate brillano al sole, mi sembrano dei palombari piu' che dei minatori, la fatica delle diverse ore di lavoro nel socavon la leggi non solo nel loro modo di procedere lento ma anche nei loro occhi: rossi, spenti, melanconici, inespressivi.
Tolgono tua e vestiti, a torso nudo si lavano al getto dell'acqua ghiacciata.



Aspettiamo.
Alle nostre domande non rilasciano nessuna dichiarazione, ovvio, un po' l'avevamo messo in conto!!

Raggiungiamo cosi' la mina Bolivar....... , abbiamo fortuna, un minatore accetta di essere intervistato. Ci spiega che il Tio non e' ne' buono ne' cattivo, il legame lo crea ciascun minatore..., il venerdi' si challa, si donano foglie di coca, alcool, refresco, sigarette, al fine di assicurarsi protezione, fortuna nel trovare la vena buona per estrarre il minerale, ... a carnevale vengono offerti anche feti di lama.
La venerazione per il Tio da parte dei giovani minatori e' un po' cambiata rispetto alle usanze dei piu' anziani; a volte l'idea del guadagno va al di la' del timore per il dueño della montagna, offerte donate dai piu' giovani piu' per abitudine senza vivere il gesto dal profondo.

Tutti masticano coca. Tra i minatori la pausa coca e un'istituzione. Masticare coca serve a ridurre drasticamente l'appetito ed e' uno stimolante del sistema nervoso centrale, la usano per diminuire gli effetti dell'altitudine e per evitare di dover fare pause per mangiare.



Ad oggi un kg di Wolfram e' quotato circa 120 boliviani (12 euro), tale quotazione attira numerosi lavoratori dalla citta', Kami rimane cosi' un pueblo di passaggio, siamo in pieno campo ma la gente che vi abita e' prevalentemente gente di citta' attratta dal lavoro in mina .
Estremo campo: si viaggi non con  muli ma con moto di ultima fabbricazione, le comunicazioni sono rese piu' facili con la linea telefonica e tanti utilizzano cellulari super moderni...., tutto mi sembra cosi' strano, distante dal contesto in cui mi trovo a vivere.
Purtroppo anche il silenzio della notte e' disturbato dal clacson della flota (piccolo pulman) che alle 2 e 30 del mattino segnala la partenza per la citta'.

Grazie a Dio grappoli di stelle nel cielo di alta quota continuano a brillare indisturbate, ... dando poi spazio alle prime luci dell'alba. Nonostante tutto, un nuovo giorno nasce.

LA Mina
La prima cosa da fare nella miniera è condividere coca e sigaretta con il Tio.
Il Tio è il vero padrone del sottosuolo e in tutte le miniere ha la sua immagine con forme di diavolo maschio, né il cristianesimo, né il marxismo lo hanno potuto detronizzare, nessuno è mai passato davanti al simulacro senza lasciare un’offerta di foglia sacra. Il Tio quando è insoddisfatto, toglie via le vene stagnifere o provoca disastri o inghiotte gente. Ma bisogna camminare da soli nel suo regno perché potrebbe approfittare per vendicarsi, beffarsi e  colpire. Spesso si fa vedere nelle sembianze di qualche minatore caduto e allora bisogna dire la litania Ave Maria Purissima. C’è infatti una relazione di forza fra la madre di Dio e il diavolo perciò nel carnevale di Oruro è il Tio in persona che capeggia la processione di minatori andini cambiati in diavoli variopinti e in condor vittoriosi, che rendono omaggio alla Madonna della Miniera. Lupe Cajias


Le vene aperte dell’America Latina di Eduardo Galeano  " Quando i minatori boliviani compiono i 35 anni, si ritrovano con polmoni che non funzionano più: l’implacabile polvere di silicio impregna la pelle del minatore, gli graffia la faccia e mani, gli ottunde il senso dell’olfatto e del gusto s’impadronisce dei suoi polmoni, li indurisce e li ammazza.
I Turisti adorano fotografare gli indigeni dell’altipiano vestiti con i loro abiti tipici. Ma ignorano che gli attuali costumi indigeni vennero imposti da Carlo III alla fine del XVIII secolo. Gli abiti femminili che gli spagnoli imposero alle indigene erano ricopiati dai vestiti regionali delle lavoratrici della Estremadura, dell’Andalusia, dei paesi baschi, e altrettanto si dica per la pettinatura delle donne indie, che portano la riga nel mezzo, come loro ordinato dal viceré di Toledo. Non accadde invece con il consumo della coca, abitudine che non s’instaurò con gli spagnoli: esisteva infatti ai tempi degli inca.
La coca veniva distribuita con cautela, monopolizzata dal governo incaico che permetteva l’uso soltanto a fini rituali o per il duro lavoro nelle miniere. Gli spagnoli ne stimolarono astutamente il consumo. Era uno splendido affare. A Potosí, nel XVI secolo, si spendeva in coca per gli indios oppressi quanto si spendeva in abiti europei per gli oppressori. Nelle miniere di argento di Potosí entravano ogni anno centomila cesti di foglie di coca, per un milione di chili complessivi. La chiesa incassava imposte sulla coca, e che la maggior parte della rendita del vescovo, dei canonici e altri ministri della chiesa di Cuzco derivava dalle decime sulla coca, e che il trasporto e la vendita di questo prodotto arricchiva molti spagnoli. Con i pochi soldi che ricevevano in cambio del loro lavoro, gli indios compravano foglie di coca anziché cibo: masticandole potevano sopportare meglio le mortali fatiche imposte loro. Oltre la coca gli indigeni consumavano acquavite e i loro proprietari si lamentavano per il propagarsi dei vizi malefici. Oggi gli indigeni di Potosí continuano a masticare coca e a bruciarsi le viscere con alcol puro. Sono le sterili rivincite dei condannati e nelle miniere boliviane gli operai chiamano ancora Mita il loro salario, proprio come nei tempi antichi."





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martedì 1 luglio 2014

Desde Bolivia - Primi incontri


La miglior forma di conoscenza e' l'incontro...

Dalla chiesa della missione si vede in lontananza il campetto da calcio (cancha) che da' sulla vallata. Alcuni bimbi stanno giocando. Li raggiiungo. Penso che la miglior forma di conoscenza sia l'incontro diretto, il contatto personale che crea apertura, amicizia.
Porto con me una rivista dei mondiali, l'ho trovata in missione, illustra le varie formazioni calcistiche e i disegni delle mascotte adottate nell'arco delle varie edizioni. Arrivo alle case di lamiera percorrendo il cammino principale, mi accorgo che la cancha rimane piu' in basso, non so come raggiungerla, torno indietro e chiedo indicazioni ad una ragazza. Devi entrare qui, risponde, e andare sempre diritto, tanti sono i cammini che portano alla cancha. ok.

Naturalmente sbaglio sentiero, e mi trovo tra le pareti di calamina delle case, il retro delle stesse in quanto non c'e' nessuna apertura (per il forte freddo l'unica apertura e' la porta di entrata). Procedo in questo tunnel, mi pare di essere una sardina in scatola, e mi accorgo ben presto che sto procedendo nella fogna, odore forte, tutto bagnato, i piedi affondano e calpestano bottiglie, carta, plastica, non ho via d'uscita o procedo o torno indietro, ormai sono nella merda! , mi tengo in piedi appoggiandomi con le mani alle pareti di calamina, vado avanti in quanto il vociare dei bambini e' sempre piu' vicino.

Sbuco qualche metro al di sopra della cancha,


entro, saluto e mi siedo e  guardo giocare. Non voglio attirare l'attenzione, lascio che i bimbi spontaneamente vengano a me.
Alex, Pepe, Jesus, Beimar e Reina abbandonano il gioco non appena Alex mostra la rivista con i vari giocatori.
Partono mille domande, mi chiedono il nome del miglior giocatore italiano, e se in Italia siamo tutti alti di statura e quanto misura l'uomo piu' alto d'Italia. Parliamo un po', alle 17 il sole gia' cala dietro la montagna, fa freddo  e ci diamo appuntamento a domani.
Mi faccio indicare il cammino corretto, non voglio ancora sbagliare, non c'e' problema:  i miei nuovi amici mi accompagnano fino alla missione.







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Informazioni personali

La mia foto
Diploma di ragioniera presso Istituto Achille Mapelli di Monza. Scuola Fondazione Giovanni ed Irene Cova di Milano, diploma di addetta alla lavorazione della ceramica al tornio. Fino al 2007 ho lavorato nel controllo di gestione del gruppo Multinazionale Sol Monza. Dal novembre 2007 esperienza missionaria nella comunità di Arque e Tujsuma - Bolivia . Attualmente vivo nella missione Salesiana di San Jose' Obrero di Kami - Cochabamba (Bolivia) per contatti giomenni@hotmail.it